Il concetto di inbound marketing ha acquistato visibilità fin dal 2005, quando la frase è stata coniata dal CEO di HubSpot, Brian Halligan. Cosa significa esattamente? Come spiegato nel 2021 da HubSpot: “l’inbound marketing è una metodologia di business che attrae i clienti creando contenuti di valore ed esperienze su misura per loro. Mentre l’outbound marketing “irrompe” sul pubblico con contenuti non sempre desiderati, l’inbound marketing si basa invece sugli interessi del singolo utente per rispondere a bisogni già esistenti“.
Qui entra in gioco Bill Bernbach. Nato nel 1911 e morto nel 1982, fu un creativo pubblicitario americano la cui carriera si sviluppò durante gli anni in cui l’outbound marketing raggiunse apici di ferocia mai più eguagliati.
Bernbach ha deciso di prendere una strada diversa. Perché? Il concetto di inbound marketing non esisteva ancora, né erano disponibili i metodi e gli strumenti odierni, ma il suo modo di pensare era comunque già in linea con le logiche dell’inbound. Il marketing non era il solo ambito in cui Bill Bernbach manifestava la sua originalità e testardaggine: ad esempio, odiava la ricerca.
Nel 1947 scrisse al suo capo presso la Grey Advertising, di cui era direttore creativo: “Sono preoccupato che finiremo per preferire le metodologie invece della sostanza. La pubblicità è fondamentalmente persuasione e la persuasione non è una scienza, ma un’arte”. Non molto tempo dopo, fece le valigie e fondò la sua agenzia, la Doyle Dane Bernbach.
Come se la sarebbe cavata nell’era digitale, dove tutto ha inizio proprio dai dati?
Possiamo presumere che, ai nostri giorni, anche Bill Bernbach avrebbe avuto una visione più sfumata. Ma credo che sarebbe comunque rimasto fedele alle sue convinzioni: “non chiediamo alla ricerca di fare ciò per cui non è stata pensata, ovvero avere un’idea”.
In realtà non è poi così rilevante ciò in cui non credeva, ma ciò in cui credeva e ciò che ha continuato a ispirarci fino ad oggi.
Per apprezzare il significato delle parole e del pensiero di Bernbach è necessario contestualizzarlo nella sua epoca, gli anni ’50, ’60 e ’70. La televisione era agli inizi, e Internet non era nemmeno lontanamente immaginabile. Era l’epoca d’oro della pubblicità, dove si tendeva principalmente a fare le cose in grande e dove l’ego di inserzionisti e agenzie trovava sfogo, tra annunci pieni di testo e dispositivi visivi. Un approccio unidimensionale che visto con gli occhi di oggi risulta ingenuo.
Siamo nel 1959. Doyle Dane Bernbach ottiene un nuovo cliente: Volkswagen. Bill Bernbach deve affrontare il compito di “vendere un’auto nazista in una città ebraica”. Al tempo, il 70% delle pubblicità delle auto americane conteneva illustrazioni con le quali si cercava di esaltare le qualità del mezzo, rendendo veicoli già di grandi dimensioni un po’ più lunghi, più bassi e più potenti. Bernbach adottò un approccio totalmente diverso, regalando al mondo una pagina in gran parte bianca, con una foto del veicolo senza pretese nell’angolo in alto a sinistra. E dove Oldsmobile titolava: “Devi guidarla per crederci!” e Chevrolet: “Piena di eleganza e novità”, Bernbach si rivolgeva al lettore con un messaggio opposto: “Pensa in piccolo”.
E poi il body copy: poche righe in fondo alla pagina illustrano brevemente perché “piccolo è meglio”. Un testo raffinato che potrebbe sembrare quasi ovvio oggi ma che nell’America del 1959 era a dir poco rivoluzionario. Il consumatore non era abituato a essere trattato come un adulto in grado di fare le proprie scelte.
Il grande merito di Bill Bernbach è stato soprattutto quello di dimostrare che il rispetto per il cliente, la semplicità, il realismo, l’attinenza del messaggio e un umorismo pacato possono dare seguito a risultati di vendita migliori rispetto alla pubblicità pomposa a cui il mondo era abituato.
Se un “Bernbach digitale” dovesse sorgere ora, come lo riconosceremmo? Non sarebbe uno che fa meglio di tutti gli altri, ma uno che lo fa diversamente. E con un tale successo che tutti saremmo spinti a seguirne le orme.
In attesa dell’arrivo del nuovo Bernbach, ecco alcune citazioni dell’originale. Credo possano essere tutti degli ottimi compagni di viaggio in un panorama comunicativo in continua evoluzione, nel quale tutti noi cerchiamo la strada giusta.
Ovunque Bill Bernbach parla di “pubblicità” possiamo anche leggere “content marketing”.
“Dimostriamo al mondo che il buon gusto, la buona arte e la buona scrittura possono contribuire a buona vendite”.
“Dimentica parole come ‘vendita dura’ e ‘vendita morbida’. Questo genera solo confusione. Assicurati solo che la tua pubblicità dica qualcosa di concreto, qualcosa che informi e serva il consumatore, e assicurati che lo comunichi come non è mai stato fatto prima”.
“L’elemento più potente nella pubblicità è la verità”.
“La verità non è la verità finché la gente non ti crede.”
“Non c’è praticamente nulla che non sia in grado di annoiarci.”
“Siamo così occupati a seguire le statistiche che dimentichiamo di poterle creare”.
“Il passaparola è il mezzo migliore di tutti.”
“Non voglio persone che fanno le cose giuste. Voglio persone che facciano cose stimolanti”.
“L’elemento più importante per il successo nella scrittura di annunci è il prodotto stesso. […] Ecco perché la nostra agenzia lavora così a stretto contatto con il cliente riguardo al suo prodotto, alla ricerca di miglioramenti, di modi per far sì che le persone lo desiderino, di cambiamenti nel prodotto. Quando si raggiunge tutto ciò, puoi dare alle persone qualcosa che non possono ottenere altrove. E fondamentalmente l’unicità è ciò che fa vendere.”
“Sii provocatorio. Ma assicurati che la tua provocazione derivi dal tuo prodotto”.
“La conoscenza è a disposizione di tutti. Solo la vera intuizione, il salto dalla conoscenza all’idea, è tua e solo tua”.
“Tutti noi che usiamo professionalmente i mass media siamo gli artefici della società. Possiamo renderla più volgare, brutalizzarla. Oppure possiamo contribuire a portarla ad un livello più alto”.
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